"The Happy Prince - L'ultimo ritratto di Oscar Wilde"


"Alta sulla città, in cima a un'imponente colonna, si ergeva la statua del Principe Felice. Lui era tutto coperto di sottili foglie d'oro fino, come occhi aveva due zaffiri lucenti, e un grande rubino rosso scintillava sull'elsa della sua spada". ("Il Principe Felice", Oscar Wilde)




Fino a pochi anni fa, Oscar Wilde (1854-1900) era l'autore i cui aforismi (estrapolati non sempre appropriatamente dalle sue opere), circolavano numerosi nella rete.
Oggi i suoi aforismi sono stati dimenticati e con essi l'autore stesso; le sue opere non sono più lette e la sua figura, sensibile ed eccentrica allo stesso tempo, poco approfondita e capita.
Wilde rientra, assieme a quella lunga lista di colleghi che si allunga ancora di più con gli anni, fra gli scomparsi della letteratura e se esistesse un "Chi l'ha visto?" per tale causa, certo lui sarebbe fra i più difficili da ricercare.
Eppure, lasciando da parte il gioco, Wilde fu un personaggio popolare che dominò gran parte del primo Ottocento inglese: scrittore, critico letterario, favolista, drammaturgo; i suoi testi accoglievano consensi, grandi applausi da parte del pubblico, luci sfavillanti dei più prestigiosi teatri con le primedonne dell'epoca che sgomitavano per un ruolo prominente.
Omaggiato nei salotti più ridondanti dell'aristocrazia vittoriana, che sapeva ben amare un divo, ma con altrettanta rigidità, rinnegarlo al suo primo passo falso.
E le luci con gli applausi si spensero così anche per lui, quando nel 1895 il marchese di Queensberry, padre di Lord Alfred Douglas poeta e studente di Oxford ed amante di Wilde, impugnò un lungo processo contro di lui per sodomia, in modo tale da difendere la sua onorabilità dai pettegolezzi.
In definitiva lo scrittore venne riconosciuto colpevole e la sua pena venne comminata con due anni di carcere duro a Reading e la perdita del diritto d'autore.
Ma ciò che colpì violentemente Wilde, oltre alla difficoltà di scrivere poco, fu l'umiliante e tenace ostracismo da parte di chi, anni prima, lo aveva celebrato fra i più grandi; come un reietto o appestato, Oscar Wilde prese rifugio nel buio dell'esilio.
Proprio in questo lasso di tempo, tra l'esilio e la morte, che si incentra "The Happy Prince - L'ultimo ritratto di Oscar Wilde"; più che film una ricostruzione sugli ultimi anni di vita dello scrittore irlandese, scritto, diretto ed interpretato da Rupert Everett.
Per chi ha più di venticinque anni, certo si ricorderà il famoso britannico attore di celebri commedie ("Il matrimonio del mio migliore amico", "Shakespeare in Love") e di alcune opere dello stesso Wilde ("Un marito ideale", "Sogno di una notte di mezza estate"), intelligente  e brillante, la sua sua carriera ha subito un rallentamento dopo aver dichiarato la sua omosessualità.
Everett ha realizzato il film tra Stati Uniti, Belgio, Gran Bretagna ed Italia, avvalendosi di un cast non certo minore come Colin Firth ("Il paziente inglese", "La ragazza con l'orecchino di perla", "Il discorso del re"), Colin Morgan ("Merlin"), Emily Watson ("Storia di una ladra di libri", "La teoria del tutto").


È il 1897 quando Oscar Wilde (Rupert Everett) esce finalmente dal carcere di Reading, dopo aver scontato la sua pena di due anni. È provato nella salute a causa dei lavori forzati a cui è stato costretto, dalle umiliazioni pesanti ed è finanziariamente sul lastrico.
Della vecchia gloria, degli omaggi, dei teatri, non è rimasto più nulla. Esule in Francia sotto falso nome, è costretto a nascondersi dalla società. Viene accolto ed aiutato dagli ultimi due amici rimasti: lo scrittore Reginald Turner (Colin Firth) e il giornalista Robert Ross (Edwin Thomas), innamorato di Wilde senza essere ricambiato.
Questo sente la mancanza della moglie Costance (Emily Watson) e quella dei suoi due figli, ma l'amore che prova per "Bosie" Douglas (Colin Morgan) è ancora forte.
Costance tenta una riconciliazione col marito, ma quando scopre della ripresa del rapporto con Douglas, lei che possiede del denaro, gli nega l'unico sussidio e la patria potestà.
Intanto Wilde e Bosie fuggono a Napoli, dove trascorrono, grazie al denaro di cui quest'ultimo è fornito, giorni di sperpero  e dissolutezza fino all'intervento di Lady Quennsberry che taglia la rendita mensile al figlio. Bosie in mancanza di soldi, lascia definitivamente lo scrittore.
Questi ripiega a Parigi, dove povero e malandato, si è ridotto a chiedere l'elemosina, facendo abuso di alcool e cocaina, vagando da una bettola all'altra e dove prima allietava il bel mondo inglese, ora diverte l'ambigua gente della Suburra parigina.

«Perché la rovina ci affascina così tanto?»

In questi stretti e sporchi atri, conosce due giovani accattoni e uno dei due ne diventa l'amante, mentre insieme formano il solo pubblico a cui racconta la storia del "Il Principe Felice".
I giorni passano e Wilde si aggrava sempre di più: ricoverato in una camera d'albergo, corroso nel corpo da quel che crede sifilide (in realtà sara meningite contratta in carcere), stremato nell'animo dai rimorsi di coscienza per l'improvvisa morte della moglie e dall'ultimo rifiuto di Bosie, chiede l'estrema unzione.
Muore l'ultimo giorno di novembre, circondato dai due ragazzi e dai due fedeli amici, dopo aver concluso la favola del "Il Principe Felice".

La pellicola segue fedelmente le ultime vicende dell'autore, non risparmiandogli né la genialità né la sofferenza inflittagli ma neanche una vita di eccessi e disordini.
Il ritratto che dà è privo di quella retorica e di quell'eufemismo che si trova nelle striminzite biografie delle sue opere: è la storia di un uomo che ha conosciuto le luci e il buio di una società radicata nel pregiudizio e nel disprezzo, incapace di comprendere o perdonare; un uomo con le sue debolezze (Bosie) e le sue dipendenze (alcool e droga).
Il talentuoso Everett è stato spettacolare nell'aver saputo dare anima e corpo, alle tante sfaccettature di Oscar Wilde: quella di scrittore di successo, di uomo in disgrazia, di esule e emarginato, di padre, marito, amante e vittima/colpevole di tormenti per sé e per gli altri, perché esiste, in alcuni uomini, questa forza trascinante che è la rovina, a cui si va, inspiegabilmente, volontariamente incontro.
L'omosessualità entra prepotentemente nel film, ma viene messa sullo stesso piano della paura del diverso, della povertà, di un'esistenza non conforme ai canoni prescritti.
Così ci si stupisce, apprendendo dal film, della rivalutazione postuma, avvenuta solamente lo scorso anno, quando la regina Elisabetta ha firmato un documento nel quale ha sancito la fine di ogni forma di discriminazione per i cittadini degli stati membri del Commonwealth.



Ma una menzione la meritano anche le figure di Reginald Turner (1869-1938) e Robert Ross (1869-1918) gli amici rimasti con lui fino alla fine, e in particolare "Robbie" Ross che si occupò di diffondere ai posteri il suo testamento letterario ed umano. Anche queste persone che hanno operato con coraggio, in un periodo storico non facile, per il riconoscimento di quelle libertà, di quella formazione intellettuale, meritano il diritto di essere ricordate.
Il titolo del film richiama ad una delle più belle favole (se non la più bella), scritte da Wilde e pubblicata nel 1888, che si ripete come un dolce sottofondo musicale lungo tutta la proiezione.
Everett ha riassunto con questo racconto ("Il Principe Felice"¹) tutto l'essere dello scrittore, con tanta sensibilità ed acutezza, e il significato intrinseco della sua opera: la rondine che descrive le meraviglie dell'Egitto con il sole, il fiume, gli animali esotici al Principe Felice, non riesce ad entusiasmarlo di alcunché, poiché quest'ultimo gli confida che il mistero più grande dell'esistenza sono le miserie umane, e Wilde lo aveva capito.
Come aveva capito che c'era al mondo una cosa che andava oltre la letteratura, l'arte, il teatro, la gloria; che superava persino la bellezza, il valore sui cui aveva fondato la sua vita: questa era l'amore.

«Portami le due cose più preziose della città» disse Dio a uno dei Suoi Angeli; e l'Angelo gli portò il cuore di piombo e l'uccello morto.
«Hai scelto bene» disse Dio, «perché nel mio giardino del Paradiso questo uccellino canterà per sempre, e nella mia città d'oro il Principe Felice pronuncerà le mie lodi».




M.P.



¹ "Il Principe Felice e altre storie", O. Wilde, Oscar Mondadori





Commenti

  1. Decisamente un film da vedere, pertanto.
    Mi piace Everett, è sempre stato un attore convincente, elegante, credo fosse l'ideale interprete di una figura così iconica come Wilde.
    Conosco questa favola, da piccola ne avevo un libro illustrato, che leggevo e rileggevo, commuovendomi tutte le volte per la storia tutta e per l'epilogo.

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    1. È una storia che rappresenta al meglio l'esistenza umana e Wilde è riuscito a cogliere tutta l'intensità di un mondo così ambiguo; questa è la sua modernità.

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