"Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale" di Erich M. Remarque


Essi dovevano essere per noi diciottenni introduttori e guide all'età virile, condurci al mondo del lavoro, al dovere, alla cultura e al progresso; insomma all'avvenire.
Noi li prendevamo in giro e talvolta facevamo loro dei piccoli scherzi, ma in fondo credevamo a ciò che ci dicevano. Al concetto dell'autorità di cui erano rivestiti, si univa nelle nostre menti un'idea di maggior prudenza, di più umano sapere. Ma il primo morto che vedemmo mandò in frantumi questa convinzione. Dovemmo riconoscere che la nostra età era più onesta della loro; essi ci sorpassavano soltanto nelle frasi e nell'astuzia. Il primo fuoco tambureggiante ci rivelò il nostro errore, e dietro ad esso crollò la concezione del mondo che ci avevano insegnata.
Mentre essi continuavano a scrivere e a parlare, noi vedevamo gli ospedali e i moribondi; mentre essi esaltavano la grandezza del servire lo Stato, noi sapevamo già che il terrore della morte è più forte. Non per ciò diventammo ribelli, disertori, vigliacchi - espressioni tutte ch'essi maneggiavano con tanta facilità; - noi amavamo la patria quanto loro, e ad ogni attacco avanzavamo con coraggio; ma ormai sapevamo distinguere, avevamo ad un tratto imparato a guardare le cose in faccia. E vedevamo che del loro mondo non sopravviveva più nulla. 


"Niente di Nuovo sul Fonte Occidentale" (1979), Delbert Mann

L'undici novembre di quest'anno ricorre la fine della Prima Guerra Mondiale, e già in molte nazioni hanno ricordato e stanno ricordando quest'anniversario storicamente così fondamentale.
Cento anni sono molti numericamente e soprattutto in un arco di tempo tra il Novecento e il Duemila dove molto ancora è accaduto, eppure il risveglio di quel ricordo, purtroppo, ci circonda ancora nella nostra quotidianità.
La chiamano la prima guerra moderna, per come si è svolta (armi utilizzate, strategie, novero disparato di soldati e civili coinvolti) ma soprattutto per aver cambiato irreparabilmente il nostro modo di vivere, da quella generazione in poi; per aver portato l'odore della guerra più vicino a noi, con le sue paure, gli orrori, la morte, la distruzione di tante culture e tanta bellezza, arrivando ad un un punto di non ritorno, perché da lì l'umanità intera non ha più vissuto nell'illusione. Questa si è aperta in una voragine dove il passato (con i suoi concetti e precetti) è sprofondato portandosela dietro.
Erich Maria Remarque (1898-1970), scrittore tedesco tanto attaccato alle sue origini francesi da cambiare il secondo nome e il cognome nel corrispettivo transalpino, fu l'esempio più lampante di questa umanità che a fine guerra si ritrovò spaesata e ferita nel suo tessuto sociale.
Partito soldato nella Grande Guerra su uno dei fronti più duri e sanguinosi del conflitto, quello nordoccidentale francese; pur sopravvivendo fortuitamente, non riuscì mai a superare l'evento tragico della guerra che lo portò in uno stato di depressione e debolezza psicologica, riscontrata tra l'altro in molti altri soggetti nel periodo post-bellico.
"Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale" nacque appunto come sfogo o liberazione di quel passato vissuto, che solamente nella scrittura poteva trovare il suo momento catartico.
Pur avendo riscosso un grande successo di pubblico e la traduzione in varie lingue, il libro non raggiunse le simpatie dei primi partiti nazionalsocialisti che anzi ne chiesero la censura e con l'ascesa al potere di Hitler, il disprezzo divenne violenza, tanto da far correre in giro voci (non vere) della presunta origine ebraica dello scrittore, pur di catturarlo. L'autore ripiegò nell'esilio volontario.
In quelle pagine i nazisti non solo vedevano svilita la Germania stessa, la sua virilità e le grida belluine, ma lo stesso sistema che la reggeva in piedi: quella vecchia generazione di politicanti, intellettuali e filosofi promotori di ideali ingannevoli e di quel barlume di gloria e di coraggio che dovevano accompagnare l'ingenuo soldato.
"Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale" venne pubblicato curiosamente nel 1929, lo stesso anno di "Addio alle Armi" di Ernest Hemingway e diversamente dal romanzo dello scrittore americano, il primo risulta una sorta di diario immaginario, un'amara analisi delle spaventose distruzioni materiali e spirituali apportate dalla guerra, e insieme una cronistoria degli sviluppi sulla scena bellica di un giovane soldato tedesco partito volontario.
Nella sua premessa all'opera Remarque sostenne quanto quest'ultima fosse la rappresentazione della sua generazione che pur scampata alla morte, venne distrutta dalla guerra, perché in cambio, essi avevano donato ciò che non sarebbe mai più ritornata: la giovinezza.


Paul Bäumer, diciottenne studente tedesco, parte volontario in guerra, poco dopo lo scoppio, insieme ad una parte della sua classe, incalzato sia dal fervore patriottico del suo insegnante e sia spinto dall'entusiasmo di un'intera nazione promotrice della causa e che vede in questi giovanissimi soldati il riscatto per la gloria.
Ma dopo un addestramento pur approfondito, vengono portati sul versante nordoccidentale a combattere; qui con i primi caduti si rivela ai loro occhi cosa sia veramente la guerra:non le gesta eroiche, l'avventura trascinante, l'intelligenza messa a frutto, la fama, la vittoria, ma corpi mutilati, infezioni, scarsa igiene, vestiario, viveri e la paura costante della morte, che torna ogni giorno, in ogni momento, colpendo a caso, senza distinzioni tra una giovane recluta o un esperto ufficiale, che si protrae anche nella lenta agonia dei sopravvissuti, alla quale ci si nasconde rifugiandosi nell'indifferenza e nella solidarietà del gruppo. Ma nell'ora della morte ognuno è solo.
Bäumer mette a nudo questa vita di logoramento fisico e psicologico dell'uomo; dei suoi bisogni primari, la fame, il sonno, il sesso, quelli puramente fisiologici e quelli interiori: la rabbia, a volte la ribellione, la disperazione di vivere, la follia, il sentimentalismo che li porta per un istante nel ricordo di quando una volta si credeva nell'avvenire.
Gli affetti, le belle letture, i grandi filosofi e le operazioni algebriche, quello che hanno imparato sui banchi di scuola, non contano più nulla, non servono più a nulla.
Mentre fuori, al sicuro dal fragore della guerra e dalla morte alle calcagna, si scopre tutto il cinismo, l'egoismo di una borghesia con i paraocchi che la verità non vuol vedere.
Il giovane soldato prova pietà per i propri nemici e riflette sull'inspiegabilità della guerra che pone fratelli contro fratelli, giovani contro altri giovani, per qualche pezzo di terra in più.
E quand'anche l'ultimo sentimento che lo teneva avvinghiato alla preziosità della vita verrà spazzato via, Paolo Bäumer, ormai solo, riuscirà a guardare solamente dritto di fronte a sé: né più al passato né più al futuro.

E. M. Remarque

È dalla lettura dell'opera memorialistica di Stefan Zweig con "Il Mondo di Ieri. Ricordo di un Europeo" che non rimanevo commossa e colpita da un messaggio così potente e disperato come questo di Remarque sulla guerra.
Già Hemingway con "Addio alle Armi" aveva condannato qualsiasi conflitto violento che avrebbe minato una vita, un amore, la stessa dignità dell'uomo, ma lo scrittore tedesco qui fa molto di più:
la sua voce è ancora più tragica e malinconica.
Raccontando, nelle sue tante sfumature, la vita di questi soldati non ancora entrati nell'età adulta, punta il dito contro la vecchia generazione macchiatasi di individualismo e cecità per aver portato la nuova generazione allo sbando, in un contesto terribile e inumano.
Shakespeare alludeva alla guerra come un evento catastrofico soprattutto per i giovani e il suo pensiero non andava certo lontano: come si possono crescere dei ragazzi dando loro la prospettiva di un mondo di infinite possibilità, di progresso, di civiltà, quando si verifica la sua antitesi?
La vita esposta da Remarque non è una vita eroica e nemmeno vita, benché nel libro siano presenti scene di goliardica leggerezza, esse non sono che brevi respiri qua e là per ingannare la morte, sempre onnipresente, pure sullo sfondo di una natura bellissima e intatta che rende ancora più struggente la rinuncia la domani, per chi viva poco o a lungo non importa.
E mentre questa età giovane si vede andar via nell'infertilità di questo domani, il vecchio mondo, tolto l'ultimo velo dagli occhi, cadrà insieme alle sue ataviche certezze.
Dietro il titolo dell'opera si nasconde chiaramente un simbolico significato, custodente tutta l'amara insensibilità verso ciò che si è perso.

Ma forse anche questo che penso non è che malinconia e smarrimento; forse svanirà quando sarò sotto i miei pioppi, e ascolterò il mormorio del loro fogliame. Non può essere del tutto scomparso, quella tenerezza che ci turbava il sangue, quell'incertezza, quell'inquietudine di ciò che doveva giungere, i mille volti dell'avvenire, la melodia dei sogni e dei libri, il fruscio lontano, il presentimento della donna: non può essere scomparso tutto questo sotto il fuoco tambureggiante, nella disperazione, nei bordelli di truppa

Ma Paolo Bäumer sta lì a ricordarci che forse, in mezzo alla nuda terra, qualcosa è rimasto.




M.P.





Libro:

"Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale", Erich M. Remarque, Oscar Mondadori



Commenti

  1. Una testimonianza fondamentale, soprattutto per il pericolo, sempre più reale, di una terrificante perdita della memoria storica: libri come questo aiutano a ricordare non solo gli eventi bellici ma soprattutto i sentimenti di coloro che li hanno subiti.

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