"Rebecca" di Daphne du Maurier


<<La notte scorsa ho sognato che ritornavo a Manderley. Ero davanti al cancello che si apre sul viale d'ingresso e non riuscivo a entrare. Il cancello era serrato da una catena con un lucchetto. Nel sogno chiamavo il guardiano, ma lui non rispondeva e, mi accorgevo che il casotto era disabitato.
[...] Ecco Manderley, la nostra Manderley, intima e silenziosa come era sempre stata: la pietra grigia splendeva nella luce lunare del sogno, le finestre riflettevano i prati verdi e la terrazza. Il tempo non era riuscito a distruggere la simmetria perfetta di quelle mura, né il luogo in sé, un gioiello nel cavo di una mano. [...] Non avremmo parlato di Manderley, non avrei raccontato il mio sogno. Perché Manderley non era più nostra. 
Manderley non era più>>.


Joan Fontaine e Judith Anderson in "Rebecca" (1940), A. Hitchcock

Chissà perché nei romanzi scritti dalle donne , incentrati su una coppia mediamente giovane ed eterosessuale, vogliamo vederne per forza di cose una storia d'amore che immancabilmente si conclude con una felicità eterna e piena.
Elizabeth e Darcy o Jane Eyre e Mr Rochester, attraverso le loro vicende abbiamo idealizzato forse un po' troppo il loro amore, non comprendendo o o non volendo comprendere tutte le ambiguità e le macchie disseminate lungo gli intrecci, forse per posare le nostre coscienze su delle certezze, ma le scrittrici del passato furono più profonde e moderne di quello che crediamo.
"Rebecca" di Daphne du Maurier non è una storia d'amore.
Sul finire dell'estate, quando i raggi del sole sono ancora caldi ma l'aria già più fresca anticipa l'arrivo delle piogge, mi sono persa nella lettura di questo romanzo, con i suoi contorni soprannaturali e gotici cari alle sorelle Brontë, quel tanto che basta per renderlo drammaticamente reale. L'amore qui è un'immagine che si riduce ad un lumicino.
Daphne du Maurier (1907-1989) nacque in una nota famiglia inglese di attori e scrittori: suo padre sir Gerald, celebre attore bello ed istrionico del primo Novecento, venne addirittura citato sia da Agatha Christie nel giallo "Tragedia in Tre Atti" (1934) sia da Nancy Mitford in "L'Amore in un Clima Freddo" (1949).
Daphne, secondogenita di tre sorelle, cominciò a scrivere già da giovanissima. Nel 1932 sposò il tenente colonnello Frederick Browning dal quale ebbe tre figli.
Gran parte della sua vita (dal 1943 al 1969) fu trascorsa nell'amata residenza di Menabilly, in Cornovaglia, che le ispirerà in seguito la "Manderley" di "Rebecca".
Morì insignita del titolo onorifico di "Dama dell'Ordine dell'Impero Britannico".
"Rebecca", suo quinto libro e il più conosciuto, è considerato il capolavoro della carriera, che le valse il "National Book Award" e nel 1940 la trasposizione cinematografica diretta da Alfred Hitchcock con Laurence Oliver e Joan Fontaine, film che vinse l'Oscar l'anno successivo.
Tanta popolarità e successo del romanzo derivarono da una trama singolare, riportata in prima persona da una giovane Narratrice (di cui non si saprà mai il nome e che verrà chiamata esclusivamente come seconda signora de Winter) che attraverso un lungo flashback racconta le traversie subite nella sua vita matrimoniale con un uomo di ceto sociale più elevato, più vecchio, precedentemente già sposato e turbato dal potere, ancora vivo, della sua defunta moglie.


L'opera si apre sul presente: i primi due capitoli sono la conclusione della storia.
Una giovane inglese vive in esilio con il marito vagabondando da uno stato europeo all'altro. Durante un sogno notturno le appare Manderley, la sua villa sul mare della Cornovaglia, la dimora che ha amato e che avrebbe potuto amare ancora.
Nel sogno Manderley è ormai stata conquistata da una folta ed intricata vegetazione di piante altissime e sconosciute che avviluppano una casa disabitata e spettrale a cui loro non è più dato entrare.
I ricordi vanno molto indietro col tempo.
Intorno agli anni Trenta del Novecento, la Narratrice, donna di umili condizioni,
trascorre un periodo di vacanza a Montecarlo, come dama di compagnia di una eccentrica signora americana.
In albergo conosce Maximilian de Winter, ricco, vedovo e famoso per possedere la più bella e antica residenza della Cornovaglia.
De Winter è un uomo misterioso, schivo, a tratti brutale, provato dalla morte della moglie, la bella e sofisticata Rebecca, morta per annegamento nella baia di Manderley.
Nonostante tutto attira a sé l'ingenua Narratrice chiedendole di sposarlo.
Questa già avverte un temibile presentimento, aggiunto ad una angosciosa visione di Rebecca che sembra prendere forma nel suo inconscio; ma innamorata accetta.
Dopo un matrimonio e una luna di miele sbrigative, la seconda signora de Winter prende possesso della splendida Manderley, circondata da rossi rododendri, la baia e la Valle Felice: tutto sembra emanare il presupposto di una bella fiaba, eppure, timida e inesperta, la seconda signora de Winter  non riesce ad ambientarsi nel mondo del suo nuovo status sociale, lo stesso Maxim si mostra ancora più crudele nei suoi confronti e la signora Danvers, la governante della casa, ogni giorno ritiene di ricordarle chi sia la vera padrona di Manderley : la bellissima, elegante, amata da tutti, Rebecca.
Ogni oggetto, ogni arredo, ogni rituale appartiene a Rebecca; i suoi abiti ancora intatti, la sua firma con la R aguzza e reclinata apposta sui cassetti, il fragore minaccioso del mare che si ode unicamente dalla sua camera: tutta Manderley pare sprigionare la forza vitale di Rebecca e ossessionare i suoi abitanti.

<<Le rose erano le sue, e io le recidevo. Anche lei era piena di risentimento e paura nei miei confronti, come io lo ero nei suoi? Forse desiderava che, Maxim restasse di nuovo solo, in questa casa? Io potevo combattere con i vivi, ma non contro una morta. Se Maxim avesse avuto una donna a Londra, una con cui passare le notti... con quella avrei potuto lottare. Avremmo combattuto ad armi pari. Non avrei avuto paura. La rabbia e la gelosia erano sentimenti che si potevano vincere. Un giorno quella donna sarebbe invecchiata, o si sarebbe stufata o sarebbe cambiata, e Maxim avrebbe smesso di amarla. Ma Rebecca non sarebbe mai invecchiata, sarebbe rimasta sempre uguale. E io non potevo combattere. Era troppo forte, lei>>.

Considerare "Rebecca" come un romanzo sentimentale e romantico, come oggi viene definito, equivale a sminuirne i suoi tanti (e non scontati) significati, motivi e riflessioni che sorgono ad ogni punto. Tutta l'opera si erge con i suoi enigmi, misteri, atmosfere di angosciosa attesa, incontri quasi possibili tra i vivi e i morti, l'oscillazione tra il reale e l'irreale.

Daphne du Maurier

Cornici della vicenda che non possono comunque determinare le fitte trame che uniscono i singoli personaggi di Maxim de Winter, la Narratrice e Rebecca.
Rebecca è il personaggio più emblematico per la sua assenza/presenza.
Ci viene raccontata come una donna capace <<di navigare da sola>>, ribelle, forte, indipendente, descritta dalla du Maurier attraverso i simboli del rododendro, dal color rosso vivo, e del mare, espressione della libertà sessuale.
Eppure, per il lettore, Rebecca rimarrà sempre e solo un rebus, come tutte le donne che non possono più parlare.
La Narratrice/seconda signora de Winter concentra le sue azioni e pensieri sulla gelosia nei confronti della perfetta ex moglie del marito e sull'inesperienza della sua giovane età. Solamente quando scoprirà il terribile segreto, questa diventerà sicura e matura ma pagando la sua formazione a caro prezzo e abbandonando l'innocenza che l'aveva protetta.
De Winter è una figura cupa, fosca e complessa, perseguitata dalla Erinni della sua coscienza e uomo legato alle apparenze, alle formalità e al buon nome di Manderley.
Quello della du Maurier è un chiaro richiamo alla condizione femminile del suo tempo; di quelle donne sottomesse dalle costrizioni vittoriane e dagli stereotipi sociali (la Narratrice) e a quelle conseguenze che sarebbero potute accorrere a chi avesse trasgredito (Rebecca).
Per questo i due personaggi femminili, pur diversissimi, risultano quasi complementari, possibili facce della stessa medaglia.
È facile trovare similitudini con "Jane Eyre" di Charlotte Brontë (1816-1855), ma se il titolo di quest'ultimo romanzo riprende il nome della protagonista del secondo matrimonio, in quello della du Maurier è la prima ad avere più profondità, lasciando alla giovane Narratrice, simbolicamente, nemmeno un nome.
Oltre alla rappresentazione del chiuso e retrogrado ambiente femminile, vengono rievocate anche le conflittualità e i privilegi di classe che dopo la Grande Guerra erano riuscite a sopravvivere con le loro ritualità antiquate, l'affannosa ricerca dei fasti del passato e la stessa Manderley, la villa custode di segreti e colpe e vera protagonista del libro, impersona con i suoi ultimi splendori e feste la fine di un'epoca.
Metaforicamente, nell'ultimo capitolo, quello che i protagonisti credono sia il bagliore dell'alba è in realtà il fiammeggiare dell'ultimo tramonto.
E chissà con quali circostanziali presagi, "Rebecca" fu pubblicato nel 1938, proprio un anno prima che la Seconda Guerra Mondiale si affacciasse, travolgendo quel vecchio mondo che si era già sostenuto a stento.
Penso sia doveroso menzionare la splendida prosa figurativa di Daphne du Maurier: ogni parola non è mai posta casualmente ma ha il suo preciso incastro tra le altre, ogni sfumatura o dettaglio è colto; la narrazione si apre a scenari ricchi visioni e suoni palpabili e il fondersi tra l'opera e il lettore è un dato di fatto; il primo capitolo condensa in sé la sintesi dell'intera trama; il suo messaggio pesa tutt'ora.
Mentre oltre Manica la du Maurier gode ancora di un certo rilievo nella letteratura, qui in Italia la pubblicazione delle sue opere procede molto a rilento e spesso il loro costo è sempre eccessivo. Non abbastanza viene fatto per conoscere questa grande scrittrice moderna "non romantica".

 <<Già>> disse l'uomo del garage <<l'estate è proprio finita>>.



 M.P.







Libro:

"Rebecca", D. du Maurier, Il Saggiatore

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