«Niente vale la vita», il nuovo "J'accuse...!" di Annie Ernaux



Il difficile contesto sopravvenuto nella seconda metà di febbraio nelle zone del nord Italia si è tramutato nelle ultime settimane di marzo (e stavolta coinvolgendo il Paese e il mondo intero) in un momento storico che non ha eguali nell'ultimo decennio.
Un momento storico che ci ha investiti all'improvviso e trovati impreparati contro ciò che filosoficamente reputiamo più grande di noi. Abbiamo scoperto la nostra fragilità, nascosta poco tempo prima sotto strati banalità, quotidianità, rincorse, per l'ultimo treno, l'ultima spiaggia, l'ultima meta. E in questo momento, come in ogni momento storico, le nostre reazioni, il nostro comportamento ci rivela chi siamo realmente; tutto appare più trasparente, le nostre posizioni e le nostre scelte.
Il trenta marzo Annie Ernaux ha scritto una lettera al Presidente della Repubblica Francese Emmanuel Macron, che per coraggio e determinazione ha ricordato la denuncia che Èmile Zola rivolse all'allora presidente Felix Faure (1841-1899), il 13 gennaio 1898.
Annie Ernaux (classe 1940) è una famosa scrittrice, professoressa di letteratura, nonché attivista tra le più interessanti intellettuali del panorama francese contemporaneo. La Ernaux ha esordito con la sua prosa scarna e scevra i soggettivismi, analizzando i temi della perdita, dei vincoli famigliari e della difficoltà dei processi di crescita individuale e sociale. Vincitrice di premi letterari prestigiosi, nel 2016 si è aggiudicata il Premio Strega Europeo.
Ribattendo al discorso del presidente avvenuto il  sedici marzo e alla scelta del  suo frasario bellico, la scrittrice ha indirizzato l'atto d'accusa contro la gestione politica colpevole di aver portato una situazione di estrema emergenza sanitaria.
La denuncia della Ernaux non si esaurisce nella drammatica analisi di un sistema sanitario francese precario e portato all'abbandono ma osa soffermarsi anche sul linguaggio adottato dai politici, enfatizzato da terminologie burocratiche, militari, borsistiche, allontanandosi da una forma di comunicazione più aperta, spontanea ed umana.
Rivendicando l'uguaglianza di diritti per tutti, ribadisce come la vera difesa di uno stato sia da ricercare nella risorsa umana, nel valore della vita, di ogni singola vita, nel valore della libertà, di un pensiero democratico e quindi anche dissidente.
Le prime e le ultime righe del testo fanno riferimento ad una nota canzone popolare francese, "The Deserter" del cantante jazzista Boris Vian (1920-1959), scritta nel 1954 durante la guerra d'Indocina, che per il suo forte messaggio contro la guerra venne censurata.

«Egregio presidente,
“le scrivo la presente / che spero leggerà”. Questo inizio, a lei che è appassionato di letteratura, dirà certamente qualcosa. È così che comincia “Il disertore”, la canzone di Boris Vian scritta nel 1954 tra la guerra d’Indocina e quella d’Algeria. Ma oggi, benché lei proclami il contrario, non siamo in guerra, il nemico che stiamo affrontando non è umano, non è un nostro simile, non ha né pensiero né volontà di nuocere, ignora frontiere e differenze sociali, si riproduce alla cieca saltando da un individuo all’altro. Le armi che abbiamo a disposizione, per utilizzare il lessico bellico che sembra starle tanto a cuore, sono i letti d’ospedale, i respiratori, le mascherine e i tamponi, il numero di operatori nel campo della medicina, della scienza, dell’infermieristica. Eppure da quando è alla guida della Francia lei si è dimostrato sordo alle grida d’allarme lanciate dal mondo della sanità, e oggi riecheggiano tragicamente le parole che abbiamo potuto leggere sullo striscione di una manifestazione del novembre scorso: Lo stato conta i soldi, noi conteremo i morti. Ma lei ha preferito ascoltare quanti spingono per un ulteriore disimpegno dello Stato parlando di “ottimizzazione delle risorse” o di “regolazione dei flussi”, tutto questo gergo tecnocratico, algido e distaccato dalla vita delle persone, che deliberatamente confonde e appanna i contorni della realtà. Ma adesso guardi chi, in questo momento, più di ogni altro sta assicurando il funzionamento del paese: sono i lavoratori e le lavoratrici dei servizi pubblici, degli ospedali, del sistema scolastico (così mal pagati), dell’energia, della Posta, delle metropolitane e delle ferrovie. E quelli di cui, a suo tempo, lei ha detto che non sono niente ora invece sono tutto, e sono coloro che continuano a svuotare i cassonetti dei rifiuti, a battere gli scontrini alla cassa, a consegnare le pizze, a garantire questa vita tanto indispensabile quanto quella intellettuale: la vita materiale.
Strana scelta quella della parola “resilienza”, che significa la ricostruzione dopo un trauma. Non siamo ancora a quel punto. Faccia attenzione, egregio Presidente, agli effetti di questo tempo di quarantena, dove il corso dei giorni è scombussolato. È un tempo propizio per rimettere le cose in discussione. Un tempo per desiderare un mondo nuovo. Non il suo, certo. Non quello in cui decisori e finanzieri sono già tornati senza pudore a ripetere l’antifona del “lavorare di più”, fino a 60 ore alla settimana. Siamo in molti a non volerne più sapere di un mondo in cui un’epidemia mette a nudo in maniera tanto evidente le diseguaglianze. Siamo in molti a desiderare, al contrario, un mondo in cui i bisogni essenziali – nutrirsi in maniera sana, curarsi, la casa, l’educazione, la cultura – siano garantiti a tutti, un mondo che la solidarietà messa in atto da più parti in questi giorni sembra, giustamente, rendere possibile. Sappia, egregio Presidente, che non vi permetteremo più di rubarci la vita, è l’unica che abbiamo, e come dice un’altra canzone, questa volta di Alain Souchon, “niente vale la vita”. Né vi lasceremo imbavagliare a lungo la nostra libertà democratica, oggi ridotta, quella libertà che permette alla mia lettera, a differenza di quella di Boris Vian, vietata alla radio, di essere letta questa mattina sulle frequenze di una radio nazionale.
Annie Ernaux»¹




 M.P.





¹Traduzione di Lorenzo Flabbi per L'Orma Editore .

Commenti

  1. Ciao. Non conoscevo la scrittrice e grazie di aver pubblicato la lettera.

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    1. Dopo aver conosciuto questo suo forte attivismo intellettuale, penso che sarebbe ora di leggere le sue opere.

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  2. Oggi mi sembra surreale la progressione della situazione drammatica in cui versiamo da un mese e mezzo: a poche voci allarmiste emerse in una comunicazione nebulosa all' inizio di febbraio si è rapidamente sostituito il grido di protesta per le misure di contenimento ormai evidentemente necessarie e urgenti. Ci si dava per spacciati (con tanto di assalto ai supermercati) quando non c'era emergenza e, ora che invece si è invitati alla cautela, tanti - troppi ancora - manifestano insofferenza e la convinzione che le misure di sicurezza siano solo coercizione della libertà e dei diritti (e comunque si assaltano i supermercati). Se, però, dai noi in Italia la pandemia si è abbattuta rapida e travolgente come un uragano, altri Paesi hanno perso tempo a deriderci quando già si moriva a centinaia e si correva ai ripari ; penso agli Inglesi che ci hanno accusati di voler fare una "siesta" o agli stessi Francesi che manifestavano mascherati da puffi, affollando le piazze "in barba al virus". Ecco, credo che le classi dirigenti di questi Paesi che avrebbero avuto il tempo di prepararsi e, se non evitare, limitare fortemente il disastro con un'azione anticipata, meritino più biasimo di qualsiasi iniziativa adottata in piena emergenza nei nostri confini. Immagino che la Ernaux intendesse questo: il suo mi pare un grido di ribellione contro l'indifferenza el'ostinazione a non voler agire e contro l'interesse finanziario che continua - nonostante già la crisi del 2008 ci abbia pesantemente redarguiti su questo errore - ad essere la prospettiva principale nelle scelte politiche. La situazione assomiglia ad una guerra per le vittime che produce, per l'isolamento cui ci costringe, per le misure estreme che ha imposto, ma di certo ad altri livelli è "troppo comodo" considerarla tale, come qualcosa che richieda muso duro e cinismo, come un nemico esterno che non poteva essere contrastato prima. Tutt'altro: in questa situazione sta crollando (di nuovo) quella sorta di neopositivismo che osanniamo dagli anni '70, insieme ad un modo tutto distorto di classificare le priorità. Ieri i grandi eventi, il calcio e il lavoro frenetico all'inseguimento del guadagno ad ogni costo, oggi la ricerca della salute, di una faticosa normalità, anche in una lezione online, di un contatto confortante.
    Grazie per avermi fatto scoprire questo intervento e scusa se mi sono dilungata quando già la Ernaux aveva detto tutto prima e sicuramente meglio di me.

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    1. Assolutamente no Cristina! Ogni intervento è sempre ben accetto e soprattutto ben motivato come il tuo! Esistono delle priorità che purtroppo ancora oggi faticano ad emergere e questo per, come dici bene tu, interessi finanziari e politici e ho apprezzato tanto l'intervento di questa scrittrice che sicuramente avrà anche attirato tanti mugugni e una posizione non certo buona.

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