"Amleto" di William Shakespeare


"Se sei un uomo, dammi la coppa.
Lasciala. Per il cielo, la prendo io!
O Dio, Orazio, quale nome ferito,
Se le cose rimangono sconosciute, lascerò
Dietro di me. Se mai mi tenesti
Nel cuore, rinuncia per un poco alla felicità,
E in questo mondo feroce respira con dolore
Per dire la mia storia."
(Atto V, scena II)


Il ventitré aprile di questo anno si ricorderanno in tutto il mondo, e in particolare in Inghilterra, il quattrocentenario dalla morte di uno dei maggiori autori della letteratura, colui a cui tanti successivi scrittori si sono ispirati, preso a modello, cavalcato la sua fantasia inarrestabile e surreale : William Shakespeare, morto nel 1616.
Tra le tante commemorazioni sui vari social, la più lodevole e interessante è quella creata da Scratchbook, proponente una rilettura di gruppo, ogni mese, su un capolavoro del più famoso rappresentante di Stratford-upon-Avon.
Mancando al primo appuntamento nel mese di gennaio, la rilettura, questa volta dell'"Amleto", non poteva sfuggirmi a lungo.
L'"Amleto" non ha bisogno di presentazioni; essa rappresenta l'opera più lunga, influente, moderna di Shakespeare, nonché quella più riprodotta in tutto il mondo,e allo stesso tempo enigmatica e pregna di significati ancora oscuri.
Parlare dell'"Amleto" è come interpretare "La Gioconda" di Da Vinci, possibile ma irraggiungibile visto il suo mondo lontano che oggi non capiamo più.
Scriverne una recensione non è impresa facile, ed è giusto affidarsi alle poche fonti, alle nostre opinioni e la nostra visione moderna.

Scritta tra il 1599 e il 1600, si colloca in un periodo determinante della storia inglese : l'approssimarsi della fine del regno di Elisabetta I (morta nel 1603), comporta grave instabilità politica, apprensione e lotte per il potere;non molto lontano avverrà la feroce ribellione del conte di Essex (1601), respinta con non poca fatica dalla regina vergine. L'avvento del nuovo secolo segnerà l'uscita dall'Inghilterra dal suo Medioevo e l'entrata nel Rinascimento.
L'opera risente ineffabilmente da queste due posizioni, da una parte l'Inghilterra ancorata alle sue tradizioni storiche, dall'altra le prime teorie rinascimentali che dall'Italia si affacciavano per la prima volta nello stato inglese. Se l'Italia diede il meglio di sé nell'arte e nella letteratura, l'Inghilterra sceglierà la sua manifestazione migliore, il teatro.
Per l'"Amleto" Shakespeare si ispirò alla mitica figura di Amleth principe dello Jutland, la cui storia  era già stata scritta dal cronista medioevale Saxo Grammaticus (1150-1220), nella sua opera "Gesta dei Danesi" e in seguito rielaborata da Francois de Belleforest (1530-1583), nel 1570, Shakespeare ampliò e ne caratterizzò meglio la trama.

Ad Elsinore, la capitale del regno danese, il principe Amleto è straziato dal dolore per la morte del proprio padre, lo zio ne ha preso la corona sposando la vedova regina. Ma quando al principe appare lo spettro del padre defunto che rivela di essere stato ucciso dal nuovo re e chiede di essere vendicato, Amleto pur comprendendo l'orrore e la corruzione del mondo intorno a lui, tentenna, rimane attanagliato dal dubbio, prima sulla veridicità dello spettro, poi sulla colpevolezza dello zio, si finge pazzo, escogita un piano per scoprire la verità arrivando a perdere anche l'amore della bella Ofelia, eppure seguita nelle sue incertezze nella sua staticità, fino all'epilogo terrificante.

Jean Simmons è Ofelia in "Hamlet" (1948), regia L. Oliver

Nessun personaggio shakespeariano ha lo stesso ruolo centrale del romantico, pallido principe danese. Mentre nelle altre opere si dipanano vicende secondarie alternate a quella principale, in "Amleto" se ne segue una sola, il cui fulcro ritorna sempre al suo protagonista.
Rispetto alle altre figure che si muovono e fanno dell'azione la loro caratterizzazione, Amleto pur nel dubbio è una autorità statica, sconvolto dalla dualità di essere (vivere) o non essere (morire), invidioso della forza che fa muovere il principe Fortebraccio per una piccola causa, lui che non osa farlo per vendicare il padre.
Nel Medioevo inglese i personaggi letterari accettavano qualsiasi cosa capitasse loro con pacata rassegnazione,perché veniva dal cielo, Amleto scardina questa concezione, si lamenta, impreca contro se stesso, gli uomini, la sorte. Una filosofia evoluta che si faceva strada in quell'epoca.
Per questo di non facile presa, poco incline all'affezione del lettore, il protagonista appare nonostante ciò il più moderno e vicino a noi nelle sue inquietudini, nella sua inerzia e finta follia lucida.
L'"Amleto" meglio simboleggia il dramma nel teatro o teatro della vita con le sue passioni forti, tragedie, casualità. Il resto è silenzio.


"Un nobile cuore si spezza. Buona notte,
Dolce principe, e voli di angeli
Ti portino contento al tuo riposo."
(Atto V, scena II )




M.P.





Libro :

"Amleto", W. Shakespeare, Feltrinelli 2001





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