"Da un Mondo che non c'è Più" di Israel J. Singer


"In casa nostra tutto era considerato un peccato. Dire che il mio insegnante, Reb Mayer, era pazzo era peccato. Acchiappare le mosche a Shabbat era peccato. Disegnare era peccato. Anche correre era peccato perché non si confaceva agli ebrei ma solo ai gentili. Qualsiasi cosa uno facesse o non facesse, c'erano buone probabilità che fosse peccato. Non fare completamente niente era peccato. «Perché perdi tempo?» mi diceva mio padre ogni volta che mi beccava a guardare fuori dalla finestra. «Un ebreo non deve mai restare indolente. Deve sempre studiare.»"


"La Boutique gouache sur Papier" (1911), Marc Chagall

Ci sono civiltà lontane nella storia le cui credenze, superstizioni e culture oggi non conosciamo più nulla : sono state spazzate via dalle guerre o da qualche evento tragico o più semplicemente dal progredire umano.
I fratelli Singer sono i testimoni più rappresentativi di quel popolo ebraico che si era stanziato in Polonia e altre regioni limitrofe, così ricco di motivi folkloristici e sacrali, e mirabili narratori del filone yiddish¹.
Isaac Bashevis Singer (1904-1991), vinse addirittura il Premio Nobel per la letteratura nel 1978, la sorella Esther (1891-1954), scrisse notevoli opere sulla condizione delle donne di origine ashkenazita, ma il primato di cantore spetta, a mio dire, a Israel Joshua Singer.
Proprio come Joseph Roth, Israel Singer fu il partecipe spettatore di un mondo in declino.

Israel Joshua Singer (1893-1944), figlio di un rabbino della provincia di Varsavia, imbevuto fin dall'infanzia di dottrine ebraiche, arrivò tardi alla scrittura. Adombrato poi dalla figura del fratello minore, è stato nel lungo Novecento sconosciuto ai più, come tutti gli autori non sopravvissuti alla Seconda Guerra Mondiale. Oggi la sua narrativa è stata rivalutata e i suoi romanzi come "I Fratelli Ashkenazi" e "La Famiglia Karnowski", celebrati degnamente come opere di rara e unica bellezza.
Scritto nel 1933 e pubblicato postumo nel 1946 "Da un Mondo che non c'è Più" è il primo volume di quell'autobiografia voluta e mai portata a termine dal suo autore.
Un memoriale dall'infanzia sino alla prima adolescenza, della famiglia ma soprattutto un ritratto collettivo di una comunità rurale e remota, nell'impero zarista del XX secolo.


L'opera si apre con l'incoronazione a zar di tutte le Russie di Nicola II (1894). Israel Joshua allora ha appena un anno, figlio di Pinchas Mendl Singer, rabbino dello shtetl² di Leoncin, provincia polacco-galiziana nei pressi della Vistola, uomo devoto a Dio e alla Torah ma credulone e poco pratico e di Basheva Zylberman, donna colta, intellettuale e più assennata del marito.
Israel cresce in un ambiente osservante e domestico, tra ore passate allo cheder (scuola primaria ebraica), lunghe preghiere in sinagoga e sere passate a studiare la Torah.
Il suo è un clan chiuso, culturalmente di livello basso e votato completamente a rigide regole religiose che governano i suoi abitanti.
Israel rifugge da questo mondo di precetti, credenze popolari e divieti, correndo fino allo sfinimento con i suoi amici, ascoltando i pettegolezzi degli adulti, mangiando con colpevole piacere e ridendo alle goffaggini di eminenti personaggi. Il suo corpo come i suoi pensieri maturano un senso di sofferenza e ribellione ed aspirazione verso una vita più libera e moderna.

"Ma tutte le punizioni non sporcavano la gioia delle giornate soleggiate nel frutteto e delle buie e tenere serate, quando il cielo era pieno di milioni di stelle e mi sentivo al corrente di tutti i misteri della vita e dell'esistenza."



La sua grandezza tuttavia non risiede nella vita del giovane protagonista, bensì nelle altre vite di Leoncin. La provincia ebraica pur immobile nel suo status è fermente di drammi.
Un romanzo corale di voci e odori che scaturiscono dalla storia di una società patriarcale, dove gli uomini siedono studiando le "dolci preghiere", per poi rivoltarsi nella rabbia, nell'invidia, nell'avidità e perversioni, chiedendo infine aiuto al Cielo e nell'arrivo di un Messia che non arriverà mai.
Le donne chiuse nei loro angoli di casa a cucinare, tenere in piedi la famiglia e servire : negli occhi il rancore della loro solitudine, nelle guance il rossore mentre parlano di rapporti coniugali.
Quando una persona di ammala non si chiamano dottori ma santoni, si crede nel malocchio e leggende lontane nel tempo.
Un villaggio quello di Leoncin dove il progresso non è stato ancora conquistato, ma già ne viene pronosticato il futuro avvento e il declino di quel vecchio mondo.
Ho dovuto più volte interrompere la lettura per cercare il significato di molti dei termini ebraici di cui non ero a conoscenza, eppure il testo si è rivelato scorrevole e le sue vicende racchiudono le memorie di un tempo che fu.
Questo è quel mondo raccontato da Israel Joshua Singer che sarebbe stato infine annientato dalla furia nazista.



M.P.



¹In origine dialetto alto-tedesco, scritto in caratteri ebraici.
² Villaggio ebraico dell'Europa Orientale.




Libro :

"Da un Mondo che non c'è Più", I. J. Singer, Newton Compton.


Commenti

  1. Ho pronto da leggere La Famiglia Karnowski, mi attira molto questo autore. Bella recensione!

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    1. Hai ben detto Alessandra, infatti questo romanzo arriverà presto nella mia libreria, è stata una bella scoperta!

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  2. Altro autore da segnare, a quanto pare: io mi ero lasciata incuriosire, come Alessandra, da La famiglia Karnowski, ma anche quest'altro testo punzecchia la mia attenzione...

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    1. Per certi versi ricorda "Il Mondo di Ieri" di Zweig, ma meno poetico e storico e più introspettivo e intimo. E'una bella lettura che da il via ad altre letture del suo autore.

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