Emily Dickinson tra lettere e poesia



Nella seconda parte di luglio mi sono immersa nella lettura non di un romanzo ma di una figura emblematica e ancora oggi impenetrabile, che fu nell'America di fine Ottocento favolosa e irraggiungibile in vita quanto un'araba fenice: Emily Dickinson.
Penso che in molti si siano imbattuti nei suoi componimenti, per caso o di proposito, e comunque ne siano rimasti in qualche modo affascinati o ne abbiano almeno colto nei versi una condivisione di stati d'animo e moti interiori che furono il suo principale mondo.
Emily Dickinson nacque il dieci dicembre del 1830 in una famiglia non ricca ma nota di Amherst, nel Massachusetts, che poteva vantare tra gli avi i primi padri pellegrini. Figlia di un avvocato, si distinse già in giovane età per la buona riuscita negli studi che comunque dovette abbandonare a causa della salute malferma nel 1848. A parte qualche sporadico viaggio giovanile, tutta l'esistenza della poetessa fu condotta nella sua dimora e negli ultimi anni nella stessa camera.
L'inizio della sua vita solitaria, il ritiro da qualsiasi partecipazione sociale intorno al 1860, concise con il periodo più prolifico della sua scrittura e di una vita completamente votata alla poesia, alla natura, ai libri ed affetti. Negli anni settanta dell'Ottocento cominciò a vestirsi quasi esclusivamente di bianco (per i pochi a cui voleva mostrarsi), un vezzo artistico che suscitò fin da subito curiosità fra i vicini e che aumentò quell'aura misteriosa e mitica che si portò sempre dietro. Morì il quindici maggio 1886.
Approfittando dell'uscita di un libretto di poesie da parte del "Corriere della Sera", ho integrato la personale scarsa conoscenza sulla Dickinson aggiungendo un'antologia di alcune lettere, curata molto bene e ben articolata attraverso note ed approfondimenti, della casa editrice "L'Orma Editore".
Quest'ultima vuole essere un percorso biografico-stilistico che invita a carpire la personalità della poetessa americana, libera da preconcetti e giudizi dati dalla sua epoca (di donna chiusa e rigida), restituendo ai nostri occhi il ritratto di una figura vivace e appassionata, intelligente e detentrice di qualità poetiche che arrivavano verso una sensibilità propria del genio.

Divisa abilmente in tre parti, la prima comprende il gruppo più cospicuo delle lettere, datate dal 1845 al 1882.
Inviate a compagne di corso, amiche, al fratello a direttori di giornali, la loro intimità ne indica uno spirito sentimentale eppure ribelle, il cui anticonformismo rivelava una esclusione dal mondo che non era comunque totale; l'amore per il soprannaturale che per lei era un "naturale dischiuso", il lamento per l'educazione mancata e insieme la propensione per la sperimentazione e ricerca linguistica di donna conscia del proprio ruolo.
In due lettere recapitate ad un editore offre un quadro completo di se stessa usando un tono fintamente ingenuo e intriso di spiccato humor.
La seconda parte si apre con le missive dedicate al "Maestro", destinatario mai identificato chiaramente, che i critici hanno considerato come puri esercizi di stile, fittizie e di stampo amoroso unito al mistico, che vanno dalla fine degli anni Cinquanta agli inizi dei Sessanta.
Nel terzo gruppo sono raccolte quelle poche testimonianze che ci rimangono dell'amore tardivo tra la poetessa e il giudice Otis Phillips Lord (1812-1884).
Caro amico della famiglia Dickinson, Lord aveva svolto il ruolo di consigliere e tutore di Emily alla morte del padre. La relazione tra i due che divenne ufficiosa intorno al 1877, creò non pochi problemi all'interno delle due famiglie coinvolte, tanto che gran parte dell'amoroso carteggio venne distrutto e censurato.
Il rapporto non fu speso solo sulla carta e durò fino alla morte del giudice, avvenuta solo due anni prima di quella di Emily.
Le lettere (esclusivamente di Emily) in cui convergono passione sincera, devozione e venate di sottile erotismo provano, al di là dell'amore, che si può intendere questa come una fase della sua vita, dando l'immagine di una donna che pur nell'isolamento nulla aveva tolto alla propria libertà interiore.

Il libretto uscito con "Il Corriere della Sera" racchiude alcune delle 1775 poesie scritte tra il 1858 e il 1883.
Pur senza essere rimasta sedotta pienamente da tutte, il mondo poetico che si schiude al lettore è tra i più immaginifici e sensoriali della storia della letteratura americana e può trovare pari solo fra i testi di Walt Whitman (1819-18929.
Sono componimenti brevi, in cui si fa un continuo ricorso alle maiuscole, ai trattini, ad influssi che partono dalla Bibbia (anche se la Dickinson opponeva il suo dubbio ontologico), sino ad arrivare a Shakespeare: raccontano di inezie quotidiane e questioni esistenziali come l'amore, la morte, l'eternità, la solitudine, che si innalzano in una dimensione lirica. Le sue visioni si compongono di piante, fiori, api, sogni, tombe e memorie.

È questa la mia lettera pel mondo
che mai non scrisse a me -
semplici annunzi che dà la Natura
con tenera maestà.

Il suo messaggio è consegnato a mani
per me invisibili.
Per amor suo, miei dolci compaesani,
benignamente giudicatemi!
(1862)



Fra il mio paese e gli altri
v'è un mare
ma i fiori fanno la spola tra noi
come ambasciatori.
(1864)

Le due poesie riflettono il "carattere" della sua scrittura: nella prima la Dickinson si pone come umile messaggera delle meraviglie della natura le cui espressioni sono rivolte a noi e alle ancora future generazioni; la sua preghiera è un commuovente invito a comprenderla per il ruolo assunto.
Nella seconda rammenta la sua volontà di vivere distante dal mondo, eppure tra queste due dimensioni così lontane tra di loro (l'io e il mondo), trova nelle emozioni o nella natura il giusto compromesso per ricongiungerle. E qui si rintraccia chiaramente quell'arte tutta sua di richiamare i concetti astratti con immagini concrete.
Dei temi sulla nostalgia, la morte e la memoria sono le poesie:

Questa polvere quieta fu signori e fu dame,
e giovani e fanciulle, 
fu riso, arte e sospiro
e bei vestiti e riccioli.
E questo inerte luogo fu la dimora estiva
dove api e fiori
il loro ciclo orientale compirono,
poi anch'essi ebbero fine.
(1864)


Tutti coloro che perdiamo qualcosa ci tolgono;
resta ancora uno spicchio sottile,
che, come luna, qualche torbida notte
obbedirà al richiamo delle maree.
 (1883)


L'immortalità di Emily Dickinson si deve molto alle sue opere e contemporaneamente alla sua figura così originale ed enigmatica che già per l'epoca doveva suscitare grande interesse.
Quando nella lettura ho incominciato ad intravedere il suo essere, mi sono imbattuta in una donna dal temperamento impetuoso ed indocile che mal si combaciava con un'esistenza trascorsa tra le sole mura paterne. Un paradosso che mi ha trovata inizialmente distante da una presa di posizione così risoluta e se non anacronistica col tempo, certo non aperta ai nuovi cambiamenti sociali che le donne stavano conquistando.

@Appuntario

Nel corso dell'Ottocento la scrittura femminile fermentava in vari ambienti: pur trascinandosi ancora dietro pregiudizi e diffidenze le donne, consapevoli di un talento non inferiore a quello ma maschile, premevano nel prendere spazio nella sfera pubblica quanto privata; ne furono esempio donne come George Sand (1804-1876), George Eliot (1819-1880) o oltre l'Atlantico Louisa May Alcott (1832-1888), figure che si pensano come agli antipodi della poetessa americana.
Emily Dickinson mosse i suoi passi tra una vecchia e una nuova generazione, tra gli anni della guerra di Secessione e l'era della Ricostruzione, l'età di Lincoln, dell'abolizionismo e dei diritti civili; poeticamente tra la letteratura romantica americana e il trascendentalismo di Emerson.
La sua volontà, poste queste considerazioni, potrebbe rivelarsi una marcia indietro nel tempo a sfavore dell'emancipazione femminile, tuttavia ciò che è nato da quell'isolamento ha svelato il suo contrario.
Il richiamo ad una vita appartata è stato un atto con cui la Dickinson ha controfirmato la sua "vocazione" poetica ed intellettuale, espressione di una libertà interiore che non poteva essere ricercata fuori perché già sviluppata nel suo pensiero.
Precorritrice della "stanza tutta per sé" la Dickinson ha dimostrato quanto la mente femminile potesse essere fervida e creativa, ricettiva di realtà e fantasia pur in un corpo chiuso dentro quattro mura. E a pensarci bene, questo è stato l'insegnamento più ribelle e moderno che ci ha donato.

Negli ultimi anni si è rafforzata l'ipotesi che la cosiddetta clausura fosse dovuta dalla vergogna di una forma di epilessia che lei stessa e i suoi famigliari tentavano di celare il più possibile.
Se anche questa malattia fosse definitivamente appurata comunque un senso di estremo pudore non si concilierebbe con lo spirito sincero e appassionato della poetessa, ed è preferibile lasciare la causa ignota e nel mito.



M.P.









Libri:

"Dickinson. Un vulcano silenzioso, la vita", L'Orma Editore.
"Emily Dickinson - diVersi, Corriere della Sera

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