"Parthenope" di Rebecca West


Mentre andava in cucina, mio zio si sedette nel salone e notò che, nonostante il mobilio squisito e l'abbondanza di spazio e di luce, la sensazione era quella di uno spazio polveroso, la stessa che aveva provato nella casa dell'Ammiraglio tanto tempo prima.
È polvere che proviene da un altro pianeta, pensò con orrore, e le domestiche di questo mondo sono impotenti contro di essa.
Si deposita ovunque queste donne vivano, e Parthenope è costretta a vivere con loro.

Rebecca West

La Columbia Encyclopedia definì Rebecca West (1892-1983) "una delle più raffinate prosatrici del ventesimo secolo". Virginia Woolf la descrisse come un "mastino" per la sua figura imperiosa mentre Katherine Mansfield la lodò molto come scrittrice.
Ciò può rendere un poco l'idea di come Rebecca West, di nazionalità britannica, rappresentasse lungo gran parte del Novecento una talentuosa e fortunata scrittrice come poche della sua epoca.
Dopo la sua morte, la sua figura si è affievolita fino a scomparire quasi del tutto; solamente lo scorso anno grazie ad una nuova pubblicazione della sua opera più conosciuta, la trilogia incompiuta della famiglia Aubrey, la West è ritornata agli onori della letteratura, ma ad un triste prezzo.
La West viene vista, oggi, quasi esclusivamente come l'autrice di una saga famigliare, immagine limitante per una figura eclettica e versatile, nella persona quanto nella scrittura.
Suffragetta, giornalista, viaggiatrice, esperta di architettura e appassionata soprattutto dell'arte romana e nel tramonto di quel mondo antico ne intravedeva l'imminente declino dell'impero britannico.
Autrice di romanzi, racconti, articoli, saggi, excursus come quello sulla regione balcanica, considerato attualmente come il testo più bello scritto a proposito.
Nonostante la varietà del suo bagaglio letterario, non è comunque riuscita a sfuggire all'odierno concetto per cui la trama di un'opera debba avere un impatto maggiore del suo contenuto, delle tematiche, del suo messaggio e si preferisce, per pure questioni di marketing, di accostarla imprudentemente alla più giovane Elizabeth Jane Howard (1923-2014).
"Parthenope", questo libricino di cinquantasei pagine prestatomi da mia sorella, fu pubblicato nel 1959 per il periodico "The New Yorker" ma pur nella sua brevità il racconto fornisce un variopinto sunto del mondo della West e dove tra fiaba e mistero si arriva alla crudezza e al realismo di una questione femminile mai superata.


Una anonima narratrice, ricordando l'amato e stravagante zio Arthur, prende a raccontare una storia dai contorni tristi quanto inverosimili, ascoltata molti anni prima proprio da questo stesso zio che ne fu pure l'accidentale testimone.
Cento anni prima, in uno squallido sobborgo dell'Est End di Londra, un giovane Arthur, di bassa estrazione sociale, trascorre parte delle vacanze a casa di una zia; qui da una finestra scorge nella casa del giardino accanto sette fanciulle giocare insieme come bambine: queste sono le sette figlie di un celebre ammiraglio del posto. Le fanciulle, tutte bellissime e vestite di vari colori, hanno la particolarità di avere nomi di personaggi femminili della mitologia. Incantato dalla loro leggiadria e dai loro sorrisi, nel frattempo scopre che alcune di queste sono già sposate e madri, sfrutta l'occasione di una commissione per conoscerle. Durante la visita rimane però turbato dai loro occhi color dell'acqua, tranne una, la più alta, dagli occhi grigi, Parthenope.
Tra di loro si instaura un rapporto di reciproca confidenza e si scambiano la promessa di un nuovo incontro per l'anno successivo ma di fatto questo non avverrà mai.
Solamente qualche anno dopo Arthur scoprirà dell'improvvisa morte di quest'ultima.

Senza rivelare troppo della trama, data l'intensità del mistero che l'avvolge, il punto focale del racconto si raccoglie intorno al concetto della condizione della donna in una società patriarcale. In poche pagine la West riesce a raffigurare la precaria figura del soggetto femminile condensata sotto vari aspetti, tipicamente maschilisti.
Oltre alla sua sottomissione, all'obbedienza dovuta, si aggiunge la mera visione di un'immagine ininfluente, poco intelligente, remissiva e gratificata unicamente se provvista di bellezza, dolcezza, serenità, denaro.

 Avrebbero potuto riflettere sul fatto che donne che ridono facilmente altrettanto facilmente possono urlare [...]

Le "zone d'ombra" quali possono essere la ribellione, la sensibilità o le fragilità, non trovano considerazione nella mente dell'uomo, perché attraverso il suo egoismo, ieri come oggi, si continua a credere nell'inadeguatezza delle donne a provvedersi da sole.
Questo pensiero ha comportato in esse l'incapacità di realizzarsi, di amare e di scegliere la propria vita al di fuori di un sistema e di una società.
La lettura di questo libricino viene oggi portata avanti in molti centri di antiviolenza; lettura necessaria non solo per una problematica attualmente pressante e così modernamente descritta dalla West con tanto realismo ma soprattutto per quelle simbologie annidate nella narrazione, come quella polvere, impossibile da togliere, in cui Parthenope è costretta a vivere, dimenticata insieme a quella libertà negatagli.



M.P.





Libro:

"Parthenope", R. West, Mattioli 1885

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