<<Ma questa vita fu notevole non tanto per i suoi avvenimenti quanto per la purezza e la dignità filosofica del suo tenore quotidiano [...]>>
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"Gli ultimi giorni di Immanuel Kant" (1996), P. Collins |
Nei mesi seguenti al periodo delle vacanze estive ho dovuto purtroppo abbandonare il blog a se stesso: nuove vicende hanno cambiato la mia vita ed è stato difficile continuare ad aggiornare questo spazio come avrei voluto.Nel lungo periodo di allontanamento dal blog e dalle letture ho preso in mano, ad intervalli irregolari, quest'ultima lettura che chiude un anno strano e dall'atmosfera surreale, un libro che molto mi aveva incuriosito dopo averne letto la recensione ad opera di Giorgio Manganelli (nel nuovo regesto che la casa editrice Adelphi ha creato per lo scrittore italiano), ovvero "Gli Ultimi giorni di Immanuel Kant" di Thomas de Quincey (1785-1859).
Nella critica a De Quincey Manganelli lo descrive come la <<massima prosa dell'Ottocento>> e si stenterebbe a crederlo vista la poca popolarità di cui gode nel panorama letterario questo sfortunato scrittore inglese, autore dei più celebri "Confessioni di un mangiatore d'oppio" (1821) e "Suspiria de Profundis" (1845), la cui carriera da appassionato intellettuale di filosofia, archeologia, teologia, era andata a scontrarsi con una esistenza irregolare acuita maggiormente con l'uso smodato di oppio. Eppure la sua ricercatezza stilistica influenzò gran parte di quella letteratura di fine Ottocento e inizio Novecento, da Wilde a Borges.
Apparso per la prima volta nel 1827 sulla rivista britannica "Blackwood's Magazine", questo libricino di appena cento pagine può sembrare dal titolo voler omaggiare il grande pensatore tedesco raccontandone la parabola di una esistenza spesa nell'esempio e nello studio (De Quincey aveva diciannove anni alla morte del filosofo) ma lungi da tutto questo, l'opera vuole essere insieme un saggio tecnico-filosofico e un componimento poetico sulla tragicità del declino umano, indipendentemente dalla levatura del suo personaggio.
Strutturato in tre parti (di cui l'ultima appaiono le ventinove note aggiuntive dell'autore) De Quincey ha riunito varie testimonianze dell'epoca, soprattutto quelle riguardanti un certo Wasianski che per molti anni aveva vissuto presso Kant raccogliendone i vari aspetti della sua umile quotidianità.
Nelle prime venti pagine ne esce l'immagine di un uomo noto per il suo attaccamento alla metodicità, alla precisione come regola di vita e per la mente: la sveglia alle cinque del mattino, colazione, lezioni all'università e a seguire giornate spese nel suo studio, passeggiate che iniziavano spaccando sempre lo stesso minuto nella piccola cittadina di Königsberg, la procedura della scelta degli ospiti effettuata per avere quante più conversazioni stimolanti; un uomo che aveva scommesso di vivere lungo e per sua sventura vi riuscì.
La seconda segue la narrazione più lunga e corposa, la decadenza di quelle stesse qualità fisiche e facoltà intellettuali che il filosofo aveva perseguito: l'improvviso arrivo della demenza senile, la perdita di memoria, la disquisizione di dubbie e sciocche teorie, la monotonia tanto esaltata in gioventù diventa nella vecchiaia una prigione mentre di notte cade preda del buio e degli incubi.
De Quincey aveva scelto la figura di Kant per l'enorme estensione e la profondità dell'influenza che aveva esercitato sullo spirito dell'epoca, la concezione idealizzata di un uomo appartenete ad ogni tempo e qui ridotto ad un tragicomico finale indignitoso in quanto umano.
M.P.
Libro:
"Gli ultimi giorni di Immanuel Kant", T. De Quincey, Adelphi Edizioni
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