"I Leoni di Sicilia" di Stefania Auci e il suo triste modello fiction



Provando a riannodare i fili di ciò che aveva lasciato interrotto, riprendo ad aggiornare il blog dopo la breve pausa di una estate che un po' tutti ricorderemo per i vari fatti destabilizzanti. Se si è cercato di scordare la pandemia ancora in atto, il grande caldo, i terribili incendi, l'incredulità di un rave durato cinque giorni e ultima la questione afghana, hanno reso ancora più lampanti e gravi le nostre fragilità umane.
E in questo clima politico, sociale ed ambientale assai surriscaldato mi sono dedicata alla lettura di un libro leggero, che a distanza di due anni dalla sua pubblicazione risulta tuttora il più letto, "I Leoni di Sicilia".
In testa tra i libri più venduti negli ultimi anni con settecentomila copie (e in arrivo una trasposizione televisiva per la RAI) ha rappresentato un vero caso editoriale in Italia portando una grande fetta di nuovi lettori in libreria (in un paese dove si fa fatica a trovarne) e i cui diritti già sono stati acquistati in Francia, Germania, Olanda, Spagna e Stati Uniti.
La paternità di questo "miracolo letterario" in corso è da attribuire alla casa Editrice Nord controllata dal Gruppo Editoriale Mauri Spagnol, mentre la realizzazione e la scrittura alla trapanese Stefania Auci, autrice in passato di fanfiction, che ha voluto ripercorre nel romanzo una parte della storia siciliana (dall'istituzione della Repubblica Napoletana alla nascita della monarchia savoiarda) attraverso le vicende di una delle sue più importanti e grandi famiglie, i Florio, imprenditori partiti da un piccolo paesino della Calabria e giunti a Palermo capaci di influenzare con la loro svariata produttività e ricchezza l'alta società mondana europea, raggiungendone l'apice durante Belle Époque.
Quella dei Florio è una di quelle cronache così incredibili e affascinanti, raccontata tra arte, lusso ed ingegno italiano e meritevole di essere maggiormente conosciuta proprio per le migliorie apportate da una classe imprenditoriale in una nazione appena formata e vogliosa di riconoscersi, che questo primo libro non  è riuscito a racchiuderne nemmeno uno spicchio di luce del suo mito.


Il testo segue pedissequamente le vicissitudini della famiglia Florio, che dopo il disastroso terremoto del 1783 a Bagnara Calabra (dove erano originari) partono in cerca di fortuna verso la città di Palermo nel 1799, aprendo di lì a poco una bottega di spezie, generi coloniali e chinino, la cui inaspettata prosperità si amplia via via nel commercio di zolfo, in una compagnia di navigazione, la produzione del marsala da vino dei poveri a prodotto di principi, fino alla costruzione di una tonnara. La repentina ascesa sociale viene malvista e ostacolata dalla borghesia isolana che teme i nuovi forestieri arricchiti, i loro rapporti con le potenze straniere e nobili, la loro bramosia mai sazia.
La loro evoluzione professionale (poco approfondita) si incorpora a numerose pagine di turbamenti amorosi, perplessità intime, vendette e segreti malcelati.

Nella postfazione Stefania Auci racconta di aver incardinato la trama avvalendosi di fatti ed eventi della famiglia Florio riconoscibili in svariati libri, sopperendo alle lacune biografiche con  l'utilizzo della <<fantasia e l'immaginazione funzionale>> accorpando tutto in ciò che definisce romanzo.
Ogni capitolo si apre con un sunto storico (alla stessa maniera di un atlante storico) per inquadrare le vicende che si svilupperanno in seguito. Questo crea noia e discontinuità nella lettura, risultando perfettamente inutile, quando sarebbe bastato uniformare la costruzione.
Le voci sono incolori, i personaggi piatti e assorbiti in azioni e pensieri statici e insignificanti. Non si comprende bene il come e il perché del progresso sociale dei Florio; le conquiste guadagnate non sembrano scaturire da un percorso psicologico ma paiono piombate all'improvviso come una manna.
Non si sente Palermo, la sua coralità, la storia.
La prosa scarna e senza corposità, attinge sporadicamente all'uso del dialetto siciliano con proverbi e locuzioni e assumendo toni enfatici con tanti aggettivi uno dietro l'altro per spiegare meglio un sentimento o un fatto. Manca l'unità della narrazione tanto che appare scritto come una fiction o un romanzo rosa (e ho letto romanzi rosa scritti in modo più adeguato).
Alla fine della lettura verrebbe da definire questo come un romanzo come molto meno di elementare per il suo intreccio e stile, ma discutendone un giorno con mia sorella ho scoperto che non è così.
Questo tipo di testi (favoriti da una società editrice generosa di pubblicità e sponsor) si basano in realtà su una produzione studiata e preparata fin nei minimi particolari e congeniale per rispondere alle simpatie di un pubblico poco avvezzo alla lettura (e quindi poco incline a rapportarsi con un vero capolavoro) e catturare (o ingannare) il lettore forte, partendo da un genere letterario popolare in Italia, la saga famigliare e servendosi di una scrittura affine al modello fiction: una storia semplice di amore, amicizia, realizzazione, con accenni storici o di racconti noti e immancabilmente con la sua cornice italianistica per inoltrarsi sul mercato estero.
Di questa letteratura tutta uguale si sta facendo oggi un grande abuso e la pecca è la sua spinta furiosa sul mercato, sempre più veloce come il repentino silenzio dopo, lasciando indietro quella cura doverosa al libro fatta, come diceva lo scrittore e critico Giorgio Manganelli, di bellezza e rarità di un vocabolo, di precisione e suoni, di gusto interpretativo e simbolico, di una prosa ricca e desiderio voluttuoso per la conoscenza.
Manca quel desiderio di fare letteratura e spingere oltre il pensiero umano.




M.P.




Libro:

"I Leoni di Sicilia", S. Auci, Editrice Nord










Commenti

  1. Concordo in pieno con te. Io l'ho ritenuta una lettura appunto "leggera". È la tipica lettura estiva senza grandi pretese. Ne ho letto il primo volume (e leggerò il suo seguito) senza grandi aspettative, e del resto la Auci non solo proviene dalla funfiction ma dal romanzo rosa proprio. La mancanza di spessore, il fatto che una saga come questa, che se affidata a scrittori di calibro sarebbe stata un capolavoro del nuovo realismo, ci lascia "affamati". Ciò che mi spinge a leggerla è la curiosità verso questa famiglia, quei Florio di cui non sapevo nulla, ma concordo, non se ne esce soddisfatti, anzi. Eh poi, sì, certi gruppi editoriali sanno perfettamente come spingere un libro e come costruirlo a tavolino appositamente per un pubblico poco sottile.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Brava Luana, hai sintetizzato al meglio il mio parere! Non nego di aver comprato questo libro (anzi ebook in promozione) proprio perché affascinata da questa famiglia siciliana così illustre, tra cui quella Donna Franca ritratta dal Boldini. Peccato perché, come dici tu, poteva essere una occasione fortunata per una bella opera.

      Elimina
  2. Continuo a rimanere incerta: avventurarmi in questa saga oppure farne a meno, dato che già sospettavo che fosse una malia per il grande pubblico e non l'opera di ampio respiro che cerco in una saga a sfondo storico? I giudizi contrastanti mi lasciano nel dubbio, ma, in ogni caso, magari ne aspetterò la conclusione prima di decidere. Non posso quindi esprimermi su questo libro in particolare, ma, in generale, è un vero peccato quando una buona materia viene trattata in modo superficiale: si ha la sensazione che sia sprecata.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sinceramente, molto più della materia superficiale (premettendo che ognuno legge e preferisce ciò che vuole) ciò che mi deprime è proprio questo modo di produrre un libro "a tavolino" per accalappiare maggiori lettori, non tenendo conto del rispetto dovuto ai lettori, qualsiasi tipo di lettori.

      Elimina
  3. Giungo a leggere questo tuo post molto incuriosita dal tuo commento su "I Leoni di Sicilia" e "Il Gattopardo". :) Come ti scrivevo, avevo assistito a una presentazione a Bookcity, ma non avevo acquistato il libro per il semplice fatto che ne avevo moltissimi altri da leggere, e poi perché, forse sbagliando, ormai non mi fido molto dei libri troppo acclamati e preferisco aspettare un po'. Penso che sia un peccato che un'autrice abbia per le mani materiale così interessante e non lo sfrutti a dovere. Sono rimasta anche perplessa sull'uso del sunto storico in apertura di capitolo, di solito le informazioni storiche vanno integrate nella narrazione cercando di non appesantire. Non avevo mai sentito di questa scelta. Senz'altro la grande messe pubblicitaria ha ripagato in termini di vendite. Ora vado a leggere il tuo altro articolo su "Il Gattopardo". :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ti ringrazio per il tuo intervento. In effetti questo dell'Auci manca di quell'importante struttura di un vero romanzo ma questo penso sia creato volutamente.

      Elimina

Posta un commento