Palazzo Barberini a Roma, cassaforte di capolavori e di storia romana




Sulla bella piazza Barberini di Roma, divenuta oggi pietra dello scandalo dopo la chiusura della sua stazione metropolitana, si affaccia l'omonimo palazzo (da cui la piazza prende il nome), tra i più eleganti in stile barocco della capitale.
Tutt'ora sede delle Gallerie Nazionali d'Arte Antica insieme a Palazzo Corsini, il maestoso palazzo Barberini fu iniziato dal Maderno, con l'aiuto del Borromini, nel 1625, e compiuto dal Bernini nel 1633; questo innanzitutto presenta una pianta insolita: manca il cortile, ha un atrio sviluppatissimo e la facciata si apre verso il giardino, serrata tra due avancorpi che si prolungano fino al prospetto posteriore.
Il valore dell'edificio è chiaramente rappresentato dall'insieme armonico delle realizzazioni dei suoi architetti: il Maderno ne costruì i suoi avancorpi a tre piani, parte della facciata posteriore; al Bernini si attribuì il corpo centrale, il portico, lo scalone quadrato; al Borromini la caratteristica scala elicoidale e le finestre sui raccordi tra ali e facciata.
A fregiarsi dell'imponente palazzo e della raccolta delle sue meraviglie furono i Barberini, famiglia d'adozione romana che svolse, almeno fino al XIX secolo, un influente ruolo nei giochi di potere dei salotti romani, tanto che ogni pietra della città eterna sembra rimembrare i fasti e le leggende di questa casa.
Originaria di Barnerino in Val d'Elsa (Siena) e stabilitasi sin dal XIII secolo a Firenze, partecipando attivamente alla vita politica nella fazione antimedicea, nel 1530 si trasferì a Roma.
Nello stato pontificio seppero assumere una posizione così eminente da portare alla tiara, col nome di Urbano VIII, il loro congiunto Maffeo (1568-1644); proprio a quest'ultimo si deve il volere della costruzione del palazzo.
Eletto papa nel 1623, convinto sostenitore della suprema autorità della Chiesa, che governò nel pieno della guerra dei Trent'anni, fu grande mecenate, colto, umanista e abbellì la città promuovendo opere pubbliche imponenti; rafforzò armamenti, fortificazioni, arsenali ma non curò l'erario che rimase seriamente compromesso.




La rapacità dei Barberini nello sfruttare i vantaggi della tiara, il loro diffuso nepotismo, unito al celebre saccheggio dei monumenti antichi per le loro costruzioni, diedero la nascita a quel motto che ancora riecheggia tra i romani: <<Quod non fecerunt barbari, Barberini fecerunt>>.
In compenso i principi raccolsero nel loro palazzo gentilizio una galleria di dipinti che, mediante la cessione allo stato di alcune delle opere più importanti (simbolica la "Fornarina" di Raffaello), fu liberata dal vincolo fidecommissario nel 1934; nel 1955 la residenza divenne di proprietà della Repubblica Italiana.
Le Gallerie Nazionali d'Arte Antica oggi comprendono un valore inestimabile di dipinti e sculture che vanno dal XIII secolo al XVIII, tra artisti italiani ed europei.
Il percorso museale inizia al piano terra con una serie di dipinti del Duecento e del Quattrocento. Attraverso lo scalone quadrato del Bernini si accede alla scala elicoidale che Borromini progettò su ispirazione della scala del Mascherino al Quirinale. Il piano nobile è dove risiede la maggior parte dei capolavori.
Nominare tutta la sua collezione sarebbe impossibile e direi anche noioso, pertanto ho scelto di citare soltanto alcune di questa e naturalmente quelle che mi hanno più colpito.

Scala del Bernini

Scala del Borromini

 L' "Annunciazione e due adoratori" (1435) di Filippo Lippi (1406-1469) è tra questi.
In un ambiente domestico, tripartito da archi, avviene l'evento dell'Annunciazione alla Madonna, che riceve dall'arcangelo Gabriele il giglio simbolo della purezza. Questa viene sorpresa mentre sta leggendo il libro delle Sacre Scritture mentre alla sua sinistra due adoratori ( molto probabilmente i committenti) assistono al momento religioso. Ma è lo sfondo a colpire gli occhi dello spettatore: il letto su cui si poggia una tenda, a sinistra due ancelle che spaventate corrono via e la splendida prospettiva che si apre sul giardino nella parte centrale. Ogni dettaglio è rifinito con precisione e stile quasi leonardeschi.

 
"La Fornarina" realizzata da Raffaello Sanzio (1483-1520) nel 1520 è divenuto il dipinto simbolo del palazzo. Mi ricordo di essermi soffermata qualche minuto in più davanti a questo capolavoro, dove sembra essere ritratta Margherita Luti, figlia di un fornaio di Trastevere (chiamata per questo la "fornarina"), amante dell'artista.



È impossibile non rimanere rapiti e sedotti da questa Venere bruna e reale, dai suoi occhi neri voltati verso il suo ritrattista, e la firma di quest'ultimo non si trova unicamente nel bracciale indossato dalla donna ma nell'esaltazione della sensualità che emana ancora.
"Santa Maria Maddalena che legge" (1490-95) del pittore fiorentino Piero di Cosimo (1462-1522) incanta per la dolcezza del viso del noto personaggio femminile dei Vangeli. Ma qui la Maddalena è raffigurata più come una donna colta, dagli abiti contemporanei, i capelli lunghi sulle spalle adorni di pelle (come già l'artista aveva fatto con Simonetta Vespucci), mentre alcuni dettagli (un libro e un misterioso biglietto) fuoriescono da una finta architettura.
Nella peculiare sala dei ritratti sovrastano sopra alle altre le figure ben distinte di Enrico VIII e Beatrice Cenci.


Il "Ritratto di Enrico VIII" del pittore di corte Hans Holbein figlio (1497-1543), fu eseguito nel 1540 all'epoca del quarto matrimonio del re d'Inghilterra con la duchessa tedesca Anne di Clèves, matrimonio che non durò più di sei mesi, visto il poco gradimento che lo sposo provava verso la fanciulla.
Eppure il lavoro di Holbein ha poco a che vedere con lo sfortunato sposalizio ma molto con una glorificazione del potere, questo tutto nelle mani del re inglese.


 Colui che aveva provocato "la rottura religiosa con Roma", ripudiato la prima moglie per sposare una seconda, conosciuto per i suoi terribili appetiti, si erge qui con la sua imponente corporatura: lo sguardo autoritario, gli abiti di un sovrano sfarzoso, ricco e per questo temibile, la presa forte delle grandi mani, definiscono l'immagine di un'Inghilterra riflessa nel suo monarca.
Diversa tematica è il "Ritratto di Beatrice Cenci" (1599) attribuito a Guido Reni (1575-1642), che si colloca in una brutta storia romana di fine Cinquecento. La ragazza raffigurata era una nobildonna romana figlia del conte Francesco, un uomo triviale e meschino che con inaudita crudeltà seviziava Beatrice e i suoi fratelli minori. Con raccolto coraggio Beatrice uccise il padre ma poco tempo, scoperto l'assassinio, venne accusata di parricidio e condannata a morte da Clemente VIII presso Castel Sant'Angelo.
Reni dipinse Beatrice poco prima dell'esecuzione mettendo in risalto il suo viso giovane, quasi di bimba, dolce ma provato, conscio dell'imminente fine eppure liberato dalle tante sofferte pene, una innocente donna vittima delle mostruosità umane.


 Fra le poche sculture presenti a Palazzo Barberini, non si può non citare quella singolare di Antonio Corradini (1688-1752) "La Velata (vestale Tuccia)" (1743). Maestro nell'esecuzione delle figure velate, Corradini ricorse al mito latino per realizzare questa statua rappresentante la celebre vestale Tuccia, che accusata di aver violato il voto di castità, venne punita con l'antica prova consistente nel raccogliere tutta l'acqua del Tevere dentro un setaccio. Tuccia, grazie all'aiuto della dea Vesta, riuscì nell'impresa e comprovò la sua innocenza.


 Una sala scura e poco illuminata accoglie con teatralità le opere più considerevoli: il "Narciso" (1597-1599) e "Giuditta e Oloferne" (1599) di Caravaggio (1571-1610). Soprattutto davanti a quest'ultimo, ai visitatori è concesso potersi sedere e ammirare da vicino tutto il dinamismo, la contrapposizione tra colori e ombre, che fuoriescono dalla potenza del quadro.



 La storia e la gloria di questa famiglia passa attraverso la sala più importante e ampia del palazzo, quella realizzata dal pittore e architetto toscano Pietro da Cortona (1597-1669).



 Ampia ben quattrocento metri quadrati, è decorata con l'enorme affresco sul soffitto, "Il Trionfo della Divina Provvidenza", realizzato tra la fine del 1632 e il 1639 per esaltare il Papa, la famiglia e la Chiesa, è composto da un vortice di figure (una miriade di personaggi), con elementi naturali ed architettonici; al centro figura la Divina Provvidenza che comanda alla Fama di incoronare i Barberini e renderli ancora una volta i depositari di uno momento di storia, arte e bellezza che non smette di essere raccontato per le vie di Roma.





M.P.



Sito del Palazzo Barberini



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