"Il Cavaliere della Rosa" di Hugo von Hofmannsthal, preannuncio del tramonto asburgico


Marescialla:

<<[...] Esso è una cosa strana, il tempo.
Quando così si vive, non è niente,
ma poi, d'improvviso, non senti che lui.
Esso ci sta dintorno, ed anche ci sta dentro>>.


Ottaviano nell'illustrazione di Ertè

La "finis Austriae", quello struggente sentimento nostalgico per il crollo del grande impero Asburgico, ha abbracciato, oltre a quello prettamente geografico, storico, politico e sociale, i vari contesti artistici e letterari.
Quel sentire, misto tra rimpianto e biasimo, produsse soprattutto nella prosa punte d'eccellenza che si trovano nei grandi autori come Arthur Schnitzler (1862-1931), Stefan Zweig (1881-1942), Ernst Lothar (1890-1974), Joseph Roth (1894-1939), Sándor Márai (1900-1989).
Una prosa possente che ha un poco adombrato il notevole apporto dato dalla produzione letteraria in versi e nel particolare, dalla figura del poeta e drammaturgo austriaco Hugo von Hofmannsthal (1874-1929), testimone irripetibile della conclusione di questa civiltà.
Hugo von Hofmannsthal nacque a Vienna, cuore dell'Impero, figlio unico di una agiata famiglia ebraica. Fra tutti i poeti viennesi fu quello che raggiunse il massimo prestigio, conseguendo fama europea, fino col divenire rappresentante emblematico di una cultura cosmopolita. Enfant prodige, cominciò a scrivere le prime poesie a diciassette anni, improntando il suo stile sul simbolismo, il vocabolo prezioso, la bellezza delle parole, innalzando la letteratura viennese al rango di tutte le altre e assimilando la cultura ebrea a quella della capitale dell'Impero. Fu un fenomeno unico e senza eguali della cosiddetta "Jung Wien", giovane gruppo modernista in ascesa.
Zweig (grande estimatore del poeta) nel suo magnifico "Il Mondo di Ieri. Ricordi di un Europeo" ne fece un pregevole ritratto:

<<L'apparizione del giovane Hofmannsthal è e rimane memorabile come uno dei più grandi miracoli di precoce compiutezza artistica; nella letteratura mondiale, oltre Keats e Rimbaud, non conosco altro esempio di una simile infallibilità nel controllo della lingua, né una eguale ampiezza di slancio ideale, né una tale compenetrazione di sostanza poetica fin nella riga più fortuita come in questo genio straordinario [...]. Ma ancor più stupefacente di quella maestria della forma, unica e da allora mai più raggiunta da nessuno della lingua tedesca, era la conoscenza del mondo, che in un ragazzino che passava ancora la giornata seduto sui banchi di scuola non poteva che scaturire da un'intuizione magica>>.

"Il Cavaliere della Rosa" (Der Rosenkavalier) è considerata una delle sue opere più celebri e apprezzate, e ancora oggi rappresentata. Commedia per musica in tre atti, è un'operetta lirica scritta tra il 1909 e il 1910, messa in scena per la prima volta alla Königliches Opernhaus di Dresda il ventisei gennaio 1911.
Questa segnò anche l'inizio di quella riuscita collaborazione con il compositore tedesco Richard Strauss (1864-1949): l'unione creativa tra queste due menti accompagnerà, fino alla morte di Hofmannsthal, l'intero mondo viennese, raggiungendo in breve termine l'apogeo.
Ambientata a Vienna nel 1740, durante il regno dell'imperatrice Maria Teresa, essa simboleggia i fasti e anche le prime crepe della monarchia danubiana.


La Marescialla, Marie Thérèse principessa di Werdenberg, in assenza del marito, intrattiene una relazione con un giovane aitante conte, Ottaviano di Rofrano.
Dopo uno dei loro incontri d'amore, sopraggiunge all'improvviso il barone Bove di Lerchenau, cugino della Marescialla, uomo volgare e cùpido. Ottaviano per sfuggire allo scandalo si traveste da cameriera ma con il suo viso gentile cattura subito il barone che lo crede veramente una fanciulla.
Tra i pressanti approcci recati ad Ottaviano, il barone Bove comunica alla cugina del suo imminente sposalizio con la bella Sofia, figlia di un ricco borghese fresco di nobiltà, pregandola di trovagli un possibile sostituto, a lui troppo vergognoso per la sua grossa mole, che possa portare il consueto dono di fidanzamento alla futura moglie: la rosa d'argento.
La Marescialla incarica del compito l'amato Ottaviano, pur turbata da gelosie e paure, vista la dichiarata bellezza di Sofia.
Alla fine sarà proprio lei a sbrogliare la vicenda gravata di inganni, travestimenti e vendette e imporre un ipotizzabile lieto fine.

Sofia nell'illustrazione di Erté

L'opera si concentra in una trama esuberante, circondata dalla cornice opulenta della aristocrazia e ricca di lazzi, equivoci e battute argute, eppure tutta questa vena comica cede, varie volte e nel finale, il passo ad un senso di inquietudine e riflessione, che gli spettatori dell'epoca rivedevano in quella stagnazione politica (con i conseguenti problemi sociali) del regno di Francesco Giuseppe.
Questo grande coacervo di tradizioni, religioni, popoli diversissimi tra loro, che si estendeva dalla parte occidentale (la Cislethania) a la parte orientale (la Transleithania), in quegli anni antecedenti alla Grande Guerra, già risentiva dei contrasti tra le varie nazionalità.
In chiave metaforica viene raccontato il passaggio dalla vecchia aristocrazia (la Marescialla) all'unione tra la nuova e la borghesia nobilitata (Ottaviano e Sofia, quindi l'età presente) il tessuto sociale dell'Impero Asburgico. Il personaggio della Marescialla è un mondo in via di estinzione, un tempo che ha finito di rintoccare le ore: quando in un appassionato dialogo con il conte, questa rivela di fermare ogni notte tutti gli orologi della sua dimora, non si rivolge, per paura, solo alla fine della loro relazione ma anche al suo mondo. Nonostante tutto è l'unica a capire l'inevitabilità del cambiamento e silenziosamente accettarlo.
All'interno "Il Cavaliere della Rosa" affonda le sue tematiche anche nell'ipocrisia sociale (pur nella sua volgarità il Bove non è una figura peggiore di Ottaviano, diviso tra l'amore di due donne) e in quei contesti fondamentali che sono l'ambiente e le passioni.
Con un matrimonio l'opera si chiude felicemente, tuttavia il fazzoletto che la bella Sofia perde nella scena finale e che viene di nascosto portato via da un Negretto, avvisa che anche questo periodo insorgente può essere spazzato via per sempre.

 <<Il resto è tutto un sogno, un niente [...]>>


M.P.







Libro:

"Il Cavaliere della Rosa", H. von Hofmannsthal, Adelphi



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