"La Signora Dalloway" di Virginia Woolf


La signora Dalloway disse che i fiori li avrebbe comprati lei. 
Quanto a Lucy aveva già il suo daffare. Si dovevano togliere le porte dai cardini; gli uomini di Rumpelmayer sarebbero arrivati tra poco. E poi, pensò Clarissa Dalloway, che mattina - fresca come se fosse stata appena creata per dei bambini su una spiaggia.

@Appuntario

I primi giorni di luglio hanno chiuso Roma in una bolla di calore tanto opprimente che anche il solo rimanere immobili rendeva impossibile vivere il quotidiano.
Leggere Virginia Woolf in questo periodo poteva sembrare non certo una buona idea, il dover prestare attenzione ad una narrazione ostica e poco sciolta ma avendo un poco di tempo libero in più e spronata dai consigli di mia sorella, ho superato lo scoglio Woolf e il caldo.
La lettura dei suoi Racconti mi ha notevolmente aiutata ad addentrarmi nel suo pensiero, che pure in certi passaggi si arrampicava in inspiegabili messaggi ma comunque intessuti di finezza e sensibilità narrative.
Virginia Woolf (1882-1941) è stata la figura più rilevante del primo Novecento:  colei che ha soverchiato il classico romanzo inglese muovendo i suoi personaggi non solo attraverso l'azione ma scavando nella loro coscienza e nello spirito, mescolando la vita ai sogni, gli impulsi alla mente, le mancanze alle presenze, colei che raccolto in poche pagine le più fiorenti scrittrici della letteratura, convinta sostenitrice del genio assoluto delle donne.
Un po' snob, un intellettuale, femminista ma non troppo nel privato, donna dalla mente aperta e a volte aspramente critica; tuttavia tanto dobbiamo a questa figura, antesignana ed esploratrice di un nuovo modo di percepire gli influssi esterni e psichici sull'io, il rapporto tra l'individuo e la collettività, servendosi della tecnica stilistica del flusso di coscienza come liberazione da quel mondo ormai disilluso che aveva ancora ampia fede nella realtà oggettiva dell'epoca vittoriana.
"La Signora Dalloway" è considerato il romanzo emblema della sua scrittura. Pubblicato nel 1925 ruota attorno a Clarissa Dalloway (personaggio che appare ben cinque volte nel corpus delle sue opere) una bella donna matura dell'alta società inglese, che durante l'organizzazione di una festa serale nella sua dimora, ha il modo di riesaminare il suo passato, il presente, le sue relazioni, attraverso gli eventi svolti in un singolo giorno.


La scena si apre in una Londra del 1923, cinque anni dopo la fine della Grande Guerra, un mercoledì di giugno. Clarissa Dalloway, moglie di un politico conservatore, sta organizzando una festa in cui ha invitato per l'occasione tutta la migliore società della città: aristocratici, intellettuali, dottori.
Di prima mattina esce per comperare dei fiori e nel traffico caotico di Londra si sofferma a pensare alla rinascita di questo mondo dopo le brutture della guerra, al ritorno dall'India dell'amico ed ex pretendente Peter Walsh (uomo che in gioventù ha rifiutato per sposare il più pragmatico Dalloway), e alla sua spensierata infanzia passata a Bourton insieme alla stramba amica Sally Seton.
Durante il tragitto Clarissa incontra conoscenti e amici che poi figureranno alla sua festa ma viene soprattutto colpita dal profilo di un giovane uomo, Septimus Warren Smith, reduce pluripremiato ma malato di gravi disturbi mentali arrecati dalla guerra e dalla perdita del suo migliore amico.
La narrazione si sposta di seguito in questi ed altri personaggi, entrando e uscendo nelle loro vite complicate e affannate da subbugli interiori.
In serata, alla festa che si rivela fin dall'inizio un successo onorata poi dalla presenza del Primo Ministro, Clarissa apprende la notizia della morte di un uomo, suicidatosi prima di essere richiuso in una clinica. La donna ne rimane inconsapevolmente sconvolta; si apparta davanti ad una finestra e accoglie le numerose similitudini che intercorrono tra lei e l'uomo, accetta e ammira il suo gesto d'amore dove tanti invece si costringono a vivere.
Dopo il lungo monologo Clarissa ritorna alla sua festa come una luce appare nel buio.

"La Signora Dalloway" è un'opera che poggia il suo racconto su le tante sfaccettature, sfumature, simbolismi, entità più o meno reali del mondo esterno ed interiore collegato al pensiero e all'inconscio.
Il mondo esterno è rappresentato da una Londra giovane e dinamica, descritta dalla Woolf seguendo quasi una mappa storico-urbana, lontana dagli anni della guerra eppure i cui tristi effetti gravano ancora, come nel personaggio di Septimus affetto da traumi psichici post bellici, simbolo del diverso, un moto oscillante di una parte che non riesce ad reintegrarsi in un ambiente basato sulla linearità e la proporzione, come se niente avesse interrotto il suo andamento.
Septimus sottraendosi alla vita afferma il suo non conformismo, la sua "unicità" contro quei valori che la scrittrice mostra negli alti come nei bassi strati sociali, le ottusità, i pregiudizi, gli egoismi.
Nel mondo interno la civiltà arriva a cozzare con la natura, il sentimento umano, propensa a rivolgere il suo sguardo solo nei meccanismi che regolano i doveri e la morale dell'uomo mai ad osservare gli alberi, i fiori, le paure, le percezioni, le parole non dette, le emozioni nascoste.
La realtà si confonde con il mondo irreale (l'inconscio), il tempo reale viene disorientato dal tempo psicologico che tuttavia passano inesorabilmente sotto le ore scandite del Big Ben.
Eppure c'è una circostanza in cui tutte queste componenti si ricongiungono in un solo momento, che rappresenta la rivelazione di Clarissa.
Clarissa Dalloway è il punto focale del romanzo; il lettore ne segue i giudizi dati da gli altri, come di una donna fredda e distaccata ma soltanto attraverso il suo pensiero ne scopriamo la dolcezza. Peter Walsh l'ama ma non riesce a comprendere la sua vena mondana che definisce superficiale, anche Dalloway le è devoto ma pensa alle sue azioni come capricci da bimba, Clarissa invece è un dono: aprendo le porte della sua casa fa dono di se stessa, della sua vita per altri.

<<Un'offerta per amore dell'offerta, forse. Comunque lei aveva del talento. Non aveva nient'altro: non sapeva pensare, né scrivere, neppure suonare il piano. Confondeva i turchi con gli armeni. Amava il successo. Odiava le scomodità. Voleva piacere. [...] E comunque, che un giorno seguisse l'altro, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato: che ci si svegliasse al mattino per vedere il sole, passeggiare nel parco, e incontrare Hugh Whitbread, e poi d'improvviso ecco che arriva Peter, e poi le rose - tanto bastava. Dopo di ciò, era incredibile che ci fosse la morte! - che dovesse finire; che nessuno al mondo dovesse sapere quanto lei avesse amato ogni cosa; quanto ogni momento...>>

Tra Clarissa e Septimus esiste un parallelismo: anche questa ha trascorso un periodo spiacevole (la Woolf non dice esattamente la causa ma si può ben intuire), sentono entrambi gli stessi turbamenti e gioie pur non conoscendosi mai, sono due facce della stessa medaglia, laddove Septimus personifica la morte e l'accettazione di questa, Clarissa ne identifica la vita, due entità fondamentalmente complementari.
La rivelazione avviene durante il culmine della festa (l'apice del romanzo), quando la signora Dalloway riceve la Morte in casa, e guardando fuori alla finestra il lento andirivieni di una vecchia vicina, abbraccia il misterioso significato dell'esistenza umana.
Clarissa/la vita ritorna ancora una volta in scena, la morte è passata.

<<Vengo, disse Peter, ma rimase seduto un altro momento. Che cos'è questo terrore? che cos'è quest'estasi? pensò tra di sé. Che cos'è che mi riempie di una tale straordinaria emozione?
È Clarissa, disse.
Perché, eccola, era lì>>.


Ho trovato nel testo di Virginia Woolf molte affinità con il racconto più celebrato di Katherine Mansfield"La Festa in Giardino" (1922), le stesse tematiche, la stessa sensibilità e lo stesso sentire, esposto in maniera più ampia e ricca nella Woolf, più concentrata e disincantata nella Mansfield.
Fra le due eterne rivali, forse le figure più belle del primo Novecento, il mio affetto si sposta maggiormente nella seconda, nondimeno leggere la Woolf è stata per me una conquista e un arricchimento personale che può essere guadagnato, come mi ha spiegato mia sorella estimatrice della scrittrice inglese, con un totale abbandono alla sua narrazione, senza preoccuparsi di afferrare ogni concetto ma il meglio della sua espressione. Anche una buona traduzione è stata importante e per questo consiglio quella della Feltrinelli, tradotta e curata da Nadia Fusini.




M.P.






Libro:

"La Signora Dalloway", V. Woolf, Feltrinelli.



Commenti

  1. Anche se, come ho già avuto modo di dirti, la Woolf per me è uno scoglio molto arduo (indipendentemente dalle temperature estive), mi sembra che La Signora Dalloway possa prestarsi a sollecitare un mio nuovo tentativo, visto il maggior movimento della trama rispetto a Al faro, che è stata finora la mia unica esperienza narrativa con l'autrice. Chissà...

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    1. "Al Faro" è il romanzo più complicato della Woolf e certo cominciare da quello raffredda un poco il rapporto con la sua autrice. "La Signora Dalloway" potrebbe essere il giusto inizio ma come molti romanzi della letteratura inglese non è presente nemmeno lì una trama più vivace. C'è più un mondo interiore a venire sconvolto.

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  2. Anche io ho amato questo romanzo!! Così come Una stanza tutta per sé ☺️☺️

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    1. "Una Stanza tutta per sé" è un libro che dovrei riprendere perché sono sicura che ora, dopo aver letto "La Signora Dalloway", capirei di più.

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